mercoledì 31 gennaio 2018

Alfred Tennyson

IN MEMORIAM, L

Stammi vicino quando la mia luce è fioca,
Il sangue stagna, i nervi pungono
E fremono, il cuore soffre e lente
Sono tutte le ruote dell’Essere.

Stammi vicino quando i sensi sono
Torturati da uno strazio che vince la speranza
E il Tempo è un pazzo che sparge polvere
E la Vita, una Furia che divampa.

Stammi vicino quando la mia fede è inaridita
E gli uomini sono mosche della tarda primavera
Che depongono uova, punzecchiano e ronzano,
Tessono celle meschine, e muoiono.

Stammi vicino quando svanirò,
Ad indicarmi il limite della lotta umana
E l’aurora dell’eterno giorno
Sulla bassa scura sponda della vita.

Traduzione di Cesare Dapino

da In memoriam, Einaudi 1975

lunedì 29 gennaio 2018

Edoardo Ferri

SE CI SONO ANCORA GIORNI


Se ci sono ancora giorni

di inquieta leggerezza

veloce vorrei camminare

con passo vibrante, cogliere

gli angoli intimi e acuti

della città che dorme,

il primo sole sulle acacie;

quando la luce è un velo

posso lentamente rendere

le mie ore più dolci ed aeree.


(inedita)

venerdì 26 gennaio 2018

Raffaela Fazio

NELLA VITA PARE CHE TUTTO

Nella vita pare che tutto
vada restituito.
Il crollo del corpo
alla sua lievità
il dolce di un labbro
alla prima matrice
il fuoco guerriero
al fodero di pace
la bellezza (sempre)
all’alterità
la verità di un’arte
all’insieme e l’insieme
alla più piccola parte.
Va riportata
ogni prova di amore
al mistero
e lasciata
fuori dall’inventario
una cosa soltanto
un fendente di gioia
assoluta insolente
                 non necessaria.

da L'ultimo quarto del giorno, La Vita Felice, 2018


Il libro verrà presentato domenica 28 gennaio alle ore 17 al Villaggio Cultura Pentatonic, via Oscar Sinigaglia 18, Roma.
Ne parleranno con l'autrice Luca Benassi e Anna Maria Curci.


mercoledì 24 gennaio 2018

Edoardo Ferri

MANOS

Vorrei incontrarti a Delfi
e se non sei indovino
lascia che resti il mistero
per le strade di Roma 
straziate dal sole,
noi a riposare i sensi 
nel tenue rifugio dei chiostri.
Manos tu padre fondatore
della nostra casa nei secoli
oggi sei solo fratello
e ci insegni il valore
spazioso di un abbraccio.

(inedita)

lunedì 22 gennaio 2018

Andrew Marvell

DEFINIZIONE DELL’AMORE

Il mio amore è per nascita raro
come nobile e strano il suo oggetto:
fu la Disperazione a generarlo
unita all’Impossibile.

Solo Disperazione, generosa,
poteva concedermi così divina cosa
dove la flebile Speranza non poteva
volare invano sbattendo ali finte.

Eppure quando presto potrei giungere
dov’è impressa la mia vasta anima,
la Sorte spinge il suo ferreo cuneo
e lo tiene ben fisso nel mezzo.

La Sorte che vede con occhi gelosi
due amori perfetti non li lascia unire:
sarebbe sua rovina quell’unione,
porrebbe fine alla sua tirannia.

Perciò i suoi decreti d’acciaio
ci pongono agli opposti poli  
(pur se un mondo d’amore gira intorno a noi)
impedendo il nostro abbraccio;

finché il cielo stordito non cada
e la terra di nuovo sconvolta non si spacchi
e, per unirci, il mondo intero
non sia schiacciato in un planisfero.

Come linee, obliqui, gli amori
a ogni angolo possono incrociarsi
mentre i nostri, perfette parallele,
pur infiniti non s’incontrano mai.

Perciò l’amore che così ci lega,
ma che Sorte invidiosa separa,
è la congiunzione della mente
e l’opposizione degli astri.

Traduzione di FD

venerdì 19 gennaio 2018

Camillo Fonte

LA MEMORIA, 2.

Mia ghiandaia infelice, la memoria,
oggi, ancora una volta ti ritrova,
come sempre, in un’ansia eterna di partenza.

Rosea venne l’aurora
e cancellò le tenebre discrete,
luogo d’amore.

Senza voltarmi, ingrato,
come uccello di transito che il nido
d’una notte non cura, ti lasciavo.

Per troppa furia ti dimenticavo,
isola estrema, amore.
Ora per nuova furia ti ricordo.

da L'isola (inedita)

mercoledì 17 gennaio 2018

Paolo Silenziario


COM’È DOLCE, AMICI, IL SORRISO

Com’è dolce, amici, il sorriso di Laide, come sono dolci
le sue lacrime, quando sgorgano dalle ciglia tremanti…
Ieri, con la testa appoggiata alla mia spalla,
piangeva, in silenzio. La baciai. Le lacrime scendevano
come da una fonte misteriosa sulle nostre labbra unite.
«Perché piangi?», le chiesi. «Ho paura che mi lasci:
vi scordate sempre, voi… vi scordate, voi, della promessa».

Traduzione di Milo De Angelis

Da L’amore, il vino, la morte – Epigrammi dall’Antologia palatina, Es, 2005


lunedì 15 gennaio 2018

Catullo

DICEVI UNA VOLTA

Dicevi una volta che solo di Catullo t’importava
e non avresti voluto nemmeno un dio al suo posto.
Allora io ti amavo, e non come si ama un’amante,
ma come un padre ama i figli, i suoi e gli acquisiti.
Ora però ti conosco e se molto di più ti desidero,
so che per me vali meno, che sei meno importante.
Non c’è niente di strano, perché un’offesa così
costringe ad amare di più, ma a voler bene di meno.


Traduzione di FD

Edoardo Ferri

FINGO

Fingo
una presenza che sia conforto
e ragione, conoscenza
della luce che ti sfiorava
con lievità e distanza
nel commiato del mattino;

se non sei qui con me
le impressioni sono tracce di
pietre miliari sulla tua strada,
chilometri di di parole e segni,
pieghe delle mani in viaggio
verso l'impreciso disegno
                           dello sguardo.

(inedita)

venerdì 12 gennaio 2018

Juan Ruiz

Juan Ruiz non è più. Si è tolto la vita lunedì scorso alle quattro del pomeriggio. Alle 15.27 aveva spedito un ultimo messaggio whatsapp alla giovane donna con la quale negli ultimi anni aveva intrattenuto una tormentata relazione sentimentale. «È tutto finito. Non una parola di più», le aveva scritto. Il messaggio chiudeva la relazione e la sua vita. Avrebbe compiuto presto settant’anni. “In un modo o nell’altro, si muore. A me tocca per un no secco e affilato come una lama, colpo ben assestato, che non mi lascia scampo. Amore è morte, si sa”. Così l’ultimo messaggio, a chi scrive.
Lunedì scorso – per una tragica coincidenza –, mentre lui moriva, si poteva leggere qui la serie di dieci Quartine di morte e vita, la sua ultima poesia (nella quale “ho tratteggiato il mio lamento senza ‘lagnarmi’, come mi è stato fatto notare”, aveva scritto inviandola). Tutta l’opera di Ruiz consiste, del resto, nella trentina di poesie d’amore pubblicate qui nel corso dell’ultimo anno, a partire dal 5 marzo. Aveva iniziato a scrivere solo da qualche anno, per amore della donna che è stata anche causa della sua morte. Diceva che, prima di conoscerla, aveva avuto un’esistenza incerta, contrastata, scontenta, sempre ai margini del “gran spettacolo”.
Quella che segue è l’ultima poesia che pubblicheremo, salvo trovarne di nuove fra le sue carte. Ne conosciamo altre tre, ma il lessico impiegato le rende impubblicabili.


LUCE NUOVA                 

Chiudi gli occhi, non guardare
la fredda superficie delle cose
dove solo si rivela un mondo
di misere apparenze, un mondo
di voglie banali che non sa
né conosce cos’è il desiderio.
Dimentica che ti hanno insegnato
a vedere, chiudi gli occhi
e guarda in te, donna che va
nel sole, riflessa nella luce.

Nel buio dello sguardo troverai
quel che hai dimenticato.
Indaga, cerca in te, nel buio
fervido dell’anima, una luce
nuova…
                Cercami! Sono io,
io, non mi vedi? quel punto radiante
amore nel cerchio della tua vita,
io, ora costretto a possederti
solo con le parole con la nuda
fantasia ma senza il tormento
di scivolare arreso nella morte.

(inedita)

mercoledì 10 gennaio 2018

Raffaela Fazio

MATTUTINO
(per David, aprile 2010)

Mi scoperchi dal sonno di tana
come il buono del frutto
che corre al palato
se ti scopro a guardarmi,
un soldo di cacio in pigiama
nel mezzo del mio rinverdire,
il mozzo di un occhio divino
che trasmette
alle papille il fuoco
e tutte le altre forze in gioco.

Da A garante il mistero (2012)



lunedì 8 gennaio 2018

Juan Ruiz

QUARTINE DI MORTE E VITA


1.
vivere senza vita
morire senza morte
questa è la mia sconfitta
e sarà la mia sorte

2.
morire nella vita
vivere nella morte
se con te avessi vita
nuova non avrei morte

3.
ma con te non ho vita
nuova rimane morte
morte d’arida vita
vita d’inerte morte

4.
oh mia vita mia morte
ho finito le scorte
d’amore e non ho vita
da offrirti che smarrita

5.
oh tu mia vita morta
vita stanca e perduta
la vita che era sorta
ora morte l’ha avuta

6.
nella mia morta notte
oh mia notte di vita
ora notte di morte
si è spenta la mia vita

7.
vita perduta e sola
abbandonata vita
nemmeno la parola
potrà ridarti vita

8.
morte che vivi in me
perché vita è passata
l’amore ora non c’è
ma tu mi sei legata

9.
tigre affamata morte
divori amore e vita 
il tuo artiglio di morte
recide la mia vita

10.
vita di morte guasta
solo morte ha la vita
poca che m’è rimasta
presto sarà finita


(inedita)

venerdì 5 gennaio 2018

Lorenzo Stecchetti (Olindo Guerrini)


IL CANTO DELL'ODIO

Quando tu dormirai dimenticata
            Sotto la terra grassa
E la croce di Dio sarà piantata
            Ritta sulla tua cassa,

Quando ti coleran marcie le gote
            Entro i denti malfermi
E nelle occhiaie tue fetenti e vuote
            Brulicheranno i vermi,

Per te quel sonno che per altri è pace
            Sarà strazio novello
E un rimorso verrà freddo, tenace,
            A morderti il cervello.

Un rimorso acutissimo ed atroce
            Verrà nella tua fossa
A dispetto di Dio, della sua croce,
            A rosicchiarti l’ossa.

Io sarò quel rimorso. Io te cercando
            Entro la notte cupa,
Lamia che fugge il dì, verrò latrando
            Come latra una lupa;

Io con quest’ugne scaverò la terra
            Per te fatta letame
E il turpe legno schioderò che serra
            La tua carogna infame.

Oh, come nel tuo core ancor vermiglio
            Sazierò l’odio antico,
Oh, con che gioia affonderò l’artiglio
            Nel tuo ventre impudico!

Sul tuo putrido ventre accoccolato
            Io poserò in eterno,
Spettro della vendetta e del peccato,
            Spavento dell’inferno:

Ed all’orecchio tuo che fu sì bello
            Sussurrerò implacato
Detti che bruceranno il tuo cervello
            Come un ferro infocato.

Quando tu mi dirai: perché mi mordi
            E di velen m’imbevi?
Io ti risponderò: non ti ricordi
            Che bei capelli avevi?

Non ti ricordi dei capelli biondi
            Che ti coprìan le spalle
E degli occhi nerissimi, profondi,
            Pieni di fiamme gialle?

E delle audacie del tuo busto e della
            Opulenza dell’anca?
Non ti ricordi più com’eri bella,
            Provocatrice e bianca?

Ma non sei dunque tu che nudo il petto
            Agli occhi altrui porgesti
E, spumante Licisca, entro al tuo letto
            Passar la via facesti?

Ma non sei tu che agli ebbri ed ai soldati
            Spalancasti le braccia,
Che discendesti a baci innominati
            E a me ridesti in faccia?

Ed io t’amavo, ed io ti son caduto
            Pregando innanzi e, vedi,
Quando tu mi guardavi, avrei voluto
            Morir sotto a’ tuoi piedi.

Perché negare – a me che pur t’amavo –
            Uno sguardo gentile,
Quando per te mi sarei fatto schiavo,
            Mi sarei fatto vile?

Perché m’hai detto no quando carponi
            Misericordia chiesi,
E sulla strada intanto i tuoi lenoni
            Aspettavan gl’Inglesi?

Hai riso? Senti! Dal sepolcro cavo
            Questa tua rea carogna,
Nuda la carne tua che tanto amavo
            L’inchiodo sulla gogna,

E son la gogna i versi ov’io ti danno
            Al vituperio eterno,
A pene che rimpianger ti faranno
            Le pene dell’inferno.

Qui rimorir ti faccio, o maledetta,
            Piano a colpi di spillo,
E la vergogna tua, la mia vendetta
            Tra gli occhi ti sigillo.

mercoledì 3 gennaio 2018

Vincenzo Cardarelli

PASSAGGI

Le voglie trattenute
mi stemprano in languide inedie.
E il riso spunta sulle fissità.
Amori senza connubio
passano
come frutti sul ramo.
Il più frettoloso figliolo
del Tempo, il Disinganno,
che si nutre di sottigliezze
acerrime e conclusive,
ancora intatti li uccide
i sogni della mia indecisione.


da Poesie, Mondadori, Oscar Poesia, 1966

lunedì 1 gennaio 2018

Giacomo Leopardi

ALLA LUNA

O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l’anno, sovra questo colle
io venia pien d’angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su questa selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita: ed è, né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l’etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l’affanno duri!