venerdì 16 settembre 2016

Kenneth Rexroth

SCALATA DEL MONTE MILESTONE, 22 AGOSTO 1937


Da un mese ormai, vagando per la Sierra,
una poesia prendeva forma nella mia mente,
con dettagli di ritmo e di senso,
come succede alle poesie non ancora messe a fuoco.
Ieri notte mi sono ricordato della data e tutto
ha cominciato a crescere e ad avere senso.
     Siamo rimasti alzati fino a tardi, con Deneb allo zenit
e io che dicevo a Marie di Boston e di come appariva
in quell’ultima terribile settimana, e di come centinaia
di persone si fermarono in lacrime per strada,
impotenti, quell’ultima mezzanotte.
Le raccontai di come quelle ore cambiarono la vita
di migliaia di loro, e di come l’America da allora,
per molti, fu per sempre un posto diverso.
                                                                             La mattina
nuotammo nel gelido lago trasparente: milioni
di libellule azzurre volavano sulle canne
come sottili fiori metallici, e io ti ho pensato,
dietro le sbarre di Dedham, Vanzetti, che dicevi:
«Chi avrebbe mai pensato che avremmo fatto questa storia?»
Attraversando il brillante miglio quadrato
del prato, illuminato da astri e ciclamini,
col vento incostante che vi spargeva il polline
dei pini e che spingeva farfalle colorate d’azzurro
e di zolfo, ti vidi nell’acida luce della prigione,
dire: «Addio compagno».
                                               Nel bacino sotto la cresta,
dove finiscono i pini e iniziano le primule della Sierra,
un gruppo d’avvocati sparava a una bottiglia di whisky.
La bottiglia restò dritta: non riuscirono a colpirla.
Guardando indietro, sui canyon e i picchi, dall’ultimo lago,
la forma degli esseri umani sembrava più semplice
delle diagonali dell’acqua e della pietra.
Risalendo la pista, su neve disciolta e speroni di roccia,
mi ricordai quel che dicevi di Sacco,
di come sfuggisse di mente e chiedesti fosse messo a verbale.
Durante la traversata sotto una cresta di roccia irregolare,
una guancia contro la parete
e l’altra schiaffeggiata dal vento,
vidi voi due marciare con un esercito,
tu con la bandiera rossa e nera e Sacco col vessillo
del serpente a sonagli. Salito a grandi passi sull’ultimo spiazzo
di neve raggiunsi l’incredibile polemonio blu fragrante,
il cielo smorto, l’arido granito cristallino
e l’estremo monolite della vetta. Sono queste
le cose che resteranno, Vanzetti, e io sono contento
d’esserci stato in mezzo per una volta nel tuo giorno.
In futuro ci saranno montagne chiamate come te e Sacco.
Staranno qui e con esse il vostro nome,
«Quando questi giorni non saranno che un vago ricordo 
                                                                                   del tempo
in cui l’uomo era lupo per l’uomo».
Credo che molti si ricorderanno di voi
a lungo, sulle montagne
molti uomini, a lungo, compagno.

Traduzione di Francesco Dalessandro

da The complete poems of Kenneth Rexroth, Copper Canyon Press 2003

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