SCALATA DEL MONTE
MILESTONE, 22 AGOSTO 1937
Da un mese ormai, vagando
per la Sierra,
una poesia prendeva forma
nella mia mente,
con dettagli di ritmo e di
senso,
come succede alle poesie
non ancora messe a fuoco.
Ieri notte mi sono
ricordato della data e tutto
ha cominciato a crescere e
ad avere senso.
Siamo rimasti alzati fino a tardi, con Deneb
allo zenit
e io che dicevo a Marie di
Boston e di come appariva
in quell’ultima terribile
settimana, e di come centinaia
di persone si fermarono in
lacrime per strada,
impotenti, quell’ultima
mezzanotte.
Le raccontai di come
quelle ore cambiarono la vita
di migliaia di loro, e di
come l’America da allora,
per molti, fu per sempre
un posto diverso.
La mattina
nuotammo nel gelido lago
trasparente: milioni
di libellule azzurre
volavano sulle canne
come sottili fiori
metallici, e io ti ho pensato,
dietro le sbarre di
Dedham, Vanzetti, che dicevi:
«Chi avrebbe mai pensato
che avremmo fatto questa storia?»
Attraversando il brillante
miglio quadrato
del prato, illuminato da
astri e ciclamini,
col vento incostante che
vi spargeva il polline
dei pini e che spingeva
farfalle colorate d’azzurro
e di zolfo, ti vidi
nell’acida luce della prigione,
dire: «Addio compagno».
Nel
bacino sotto la cresta,
dove finiscono i pini e
iniziano le primule della Sierra,
un gruppo d’avvocati
sparava a una bottiglia di whisky.
La bottiglia restò dritta:
non riuscirono a colpirla.
Guardando indietro, sui
canyon e i picchi, dall’ultimo lago,
la forma degli esseri
umani sembrava più semplice
delle diagonali dell’acqua
e della pietra.
Risalendo la pista, su
neve disciolta e speroni di roccia,
mi ricordai quel che
dicevi di Sacco,
di come sfuggisse di mente
e chiedesti fosse messo a verbale.
Durante la traversata
sotto una cresta di roccia irregolare,
una guancia contro la
parete
e l’altra schiaffeggiata
dal vento,
vidi voi due marciare con
un esercito,
tu con la bandiera rossa e
nera e Sacco col vessillo
del serpente a sonagli.
Salito a grandi passi sull’ultimo spiazzo
di neve raggiunsi
l’incredibile polemonio blu fragrante,
il cielo smorto, l’arido
granito cristallino
e l’estremo monolite della
vetta. Sono queste
le cose che resteranno,
Vanzetti, e io sono contento
d’esserci stato in mezzo
per una volta nel tuo giorno.
In futuro ci saranno
montagne chiamate come te e Sacco.
Staranno qui e con esse il
vostro nome,
«Quando questi giorni non
saranno che un vago ricordo
del tempo
in cui l’uomo
era lupo per l’uomo».
Credo che molti si
ricorderanno di voi
a lungo, sulle montagne
molti uomini, a lungo,
compagno.
Traduzione di Francesco Dalessandro
da The
complete poems of Kenneth Rexroth, Copper Canyon Press 2003
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