venerdì 1 luglio 2016

Aleksandr Blok

I DODICI

7.

Vanno i dodici lontano,
vanno via verso la guerra.
Tiene il volto nella mano
l’omicida e guarda a terra.

Col fucile ad armacollo
fa gran passi nella via.
Stringe un cencio intorno al collo,
sembra in preda alla follia…

«O compagno, che cos’hai?
Pietro di’: perché rallenti?
Perché a capo basso vai?
Di Catina ti rammenti?»

«O fratelli, ascoltate,
io l’amavo la ragazza!
Quante notti ci ho passate,
notti nere, notti pazze…

Per il fuoco temerario
delle sue pupille gialle,
per un neo solitario
nel candore delle spalle,
mi son perso… o sangue rosso…
e salvarmi più non posso!»

«Ora attacchi l’organetto!
Ma sei proprio una comare?
Ci vuoi forse il cuore in petto,
o compagno, arrovesciare?
Forza! march! col capo eretto!
Tienti su da militare!

Credi sia questo il momento
di cullarti, amico bello?
Per noialtri verrà un tempo
più difficile, fratello!»

E gli incerti passi affretta
Pietro allora nel nevaio,

e la testa torna eretta
più di prima e l’occhio gaio.

                        Olà,
far baldoria non è crudeltà!

Su, sbarrate finestre e porte:
viene il saccheggio e la morte!

Spalancate cantine e granai:
oggi godremo, operai!

Traduzione di Renato Poggioli

da I dodici, Einaudi, 1965  


Nessun commento:

Posta un commento