I DODICI
7.
Vanno
i dodici lontano,
vanno
via verso la guerra.
Tiene
il volto nella mano
l’omicida
e guarda a terra.
Col
fucile ad armacollo
fa
gran passi nella via.
Stringe
un cencio intorno al collo,
sembra
in preda alla follia…
«O
compagno, che cos’hai?
Pietro
di’: perché rallenti?
Perché
a capo basso vai?
Di
Catina ti rammenti?»
«O
fratelli, ascoltate,
io
l’amavo la ragazza!
Quante
notti ci ho passate,
notti
nere, notti pazze…
Per
il fuoco temerario
delle
sue pupille gialle,
per
un neo solitario
nel
candore delle spalle,
mi
son perso… o sangue rosso…
e
salvarmi più non posso!»
«Ora
attacchi l’organetto!
Ma
sei proprio una comare?
Ci
vuoi forse il cuore in petto,
o
compagno, arrovesciare?
Forza!
march! col capo eretto!
Tienti
su da militare!
Credi
sia questo il momento
di
cullarti, amico bello?
Per
noialtri verrà un tempo
più
difficile, fratello!»
E
gli incerti passi affretta
Pietro
allora nel nevaio,
e
la testa torna eretta
più
di prima e l’occhio gaio.
Olà,
far
baldoria non è crudeltà!
Su,
sbarrate finestre e porte:
viene
il saccheggio e la morte!
Spalancate
cantine e granai:
oggi
godremo, operai!
Traduzione di Renato Poggioli
da I dodici, Einaudi, 1965
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