mercoledì 30 marzo 2016

Alessandro Ricci

I TITOLI DEGLI ALTRI

                                           a Checco

La disattenzione, il panorama
e il mare, il muretto
di capperi e la discesa bionda
ai gusci sossopra delle barche,
un attimo e
fulmina un delfino là
giù verso
Capo Colonna.

Verso ritrova l’ètimo e sono
i vecchi versi, la tartana
et cetera, Eugenio
ha già detto tutto e m’ha tolto
le parole di bocca.
                                Risuona
non l’ora prossima
dalle Castella ma l’antica
volta che amai
Arsenio, durante
una lezione di chimica.
                                      Vivevo
un maggio appeso
di corvo nell’aula
anfiteatro, la mia ragazza
era di tutti e solo mio                                                                                                                 
patrimonio la cupoletta
di non so che chiesa – forse
di Raffaello – meglio inquadrata 
dal posto alto
d’osservazione.
                          Ogni anima bassa
come quella che ho scrive non una,
ma due al massimo
cose buone, poi le ripete
male e in fine
la smette, senza avere
vissuto mai.
                        Adesso è tardi, provo
un diario minimo di bellezze ch’altri
hanno provato e detto. La mia
memoria manca
di testardaggine e luce, m’affido
alla chiaria ch’altri
hanno vergato.
                         Nemmeno
gli uccelli di Saba tornano a volo
su questa terrazza, ma
ad apertura di libro, a lume
di comodino.
                        Eppure qui,
ed ora, passeri indisturbati
beccano il pane
secco che gli ho portato.
                                        Maledetta
finalmente la grammatica, ma è grave
constatazione.   
                        Lunedì Alex                                                               
Langer s’è impiccato e tutto lui
se n’è andato, con buona
pace di quella bestia
di Foscolo e dei commissari
d’esame; alle tre
la polacca di nome Ela
invaderà l’osservatorio, i palazzi
di fronte, i rumori
del traffico, i gridi
delle rondini, il cielo e il mare
con la sua giovinezza.

                                      Meravigliosamente
Tadzio ha caricato a morte
la suoneria zitta di Aschenbach – senza
neppure saperlo: punto
interrogativo o esclamativo?
              : niente :
così è divina Indifferenza –, Lighea
è uscita dall’acqua fin dai tempi
di Omero per poi rientrarvi
con nonchalance – una
damina di Longhi –, e,
buonanotte ai suonatori, l’amore
delle cameriste l’ha bisbigliato
Gozzano a molti ma specialmente all’ombra
nel salotto impero a mio nonno
Vittorio (erano
conoscenti), il quale con me, invece
non ne ha fatto parola
nella spaventosa gioia
dell’infinito in un orto                                                                                     o in un’ala, mille
anni fa, in un paese di nome
Garessio,
mia patria.


Nota dell'autore: Vecchi versi, "tartana", Arsenio, "divina Indifferenza" sono evidenti titoli e citazioni da Montale; Diario minimo è titolo di Umberto Eco; Uccelli  di Saba; L'osservatorio di Francesco Dalessandro. "Meravigliosamente" è il primo verso di una canzone di Giacomo da Lentini; Tadzio e Aschenbach sono i personaggi di Morte a Venezia di Thomas Mann; Lighea è un racconto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa; e, infine, "l'amore delle cameriste" è nell'ultimo verso di Elogio degli amori ancillari di Guido Gozzano; "chiaria" ho dimenticato da dove viene, forse ancora da Montale.


Da I cavalli del nemico, Il Labirinto, 2004                                                                                    


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