venerdì 31 luglio 2015

Gérard de Nerval

EL DESDICHADO

Io sono il Tenebroso, – Vedovo, – Sconsolato,
Principe d’Aquitania dalla Torre abolita:
L’unica Stella è morta, – e sul liuto stellato
È impresso il Sole nero della Malinconia.

Nel buio del Sepolcro, Tu che mi consolasti,
A me rendi Posillipo e l’italico mare,
Il fiore prediletto dal cuore desolato,
La pergola che intreccia il Pampine alla Rosa.

Sono Amore o son Febo? ... Lusignano o Birone?
Rossa ho ancora la fronte del bacio della Dama;
Sognai nella Grotta che la Sirena solca...

Due volte vincitore traversai l’Acheronte:
Modulati alternando sulla lira d’Orfeo
Della Santa i sospiri e della Fata i gridi.

Traduzione di Diana Grange Fiori

da Chimere e altre poesie, Einaudi, 1972


mercoledì 29 luglio 2015

Cristina Campo

TESO TRA I DUE MONDI

Teso tra i due mondi
mille giorni ho atteso

In sogno ritorniamo per sognare
tre anni

Sia sogno o visione
ciò che vuoi non m’importa
mostrami solo il tempo passato
sepolto sotto la neve
subito, finché dura la notte.

Cento e più notti ingombre
di sonno tortuoso
ora ne fanno una canzone
per una fitta fila di giorni – 

Monte di sogni
sull’erba dove dimoro – 


Da una lettera citata da Rosita Copioli
in Il sonno di veglia di Cristina Campo

saggio incluso in Il nostro sistema solare, Medusa, 2013

lunedì 27 luglio 2015

Francesco Dalessandro

MIO PADRE IN SOGNO


«Salgono in molti fin quassù» nel sogno
mio padre dice. «In tanti s’avventurano,
entusiasti e inesperti, lungo i fianchi
erti, scoscesi e in qualche punto ancora
innevati (ma in altri dove il sole
più scalda e indugia è già nata l’erbetta 
novella) del Gran Corno, dove un vento 
potente tutto il giorno spazza cime 
e vette e, rarefatta, l’aria brucia 
i polmoni: nessuno qui resiste 
e solo in pochi accettano che sia 
premio l’esporsi a quella viva sferza
così tagliente, alla luce impietosa
che non dà tregua e non risparmia niente».

(inedita)

venerdì 24 luglio 2015

Giovanna Sicari

È PECCATO DESIDERARE MA ESSERE QUI

È peccato desiderare ma essere qui
è la naturale elegia. Suona suona
stagione in ascesa, non ti bagnare
di neve, non sbarrare il passo.
Soltanto i pazzi sanno – pensavo
non potendo dimostrare i sogni
che bruciavano la vista. Soltanto
il corpo presagisce e interpreta
la quintessenza. Aspetta, poco più
tardi stempererò nel manto, offuscati
colori del mio seno bianco, che
si espandono lucidamente tingendosi
di porpora, di sale, di lampi.


Da Ponte d’ingresso, Rossi e Spera Editori, 1986


mercoledì 22 luglio 2015

Lorenzo da Ponte

da LE NOZZE DI FIGARO

Atto Quarto, Scena Ottava
Recitativo e Aria di Figaro


Tutto è disposto: l’ora
dovrebbe esser vicina; io sento gente...
È dessa... non è alcun... buia è la notte...
ed io comincio ormai
a fare il scimunito
mestiero di marito...
Ingrata! Nel momento
della mia cerimonia...
ei godeva leggendo: e nel vederlo
io rideva di me senza saperlo.
Oh, Susanna! Susanna!
Quanta pena mi costi!
Con quell’ingenua faccia,
con quegli occhi innocenti...
chi creduto l’avria!...
Ah, che il fidarsi a donna è ognor follia!


Aprite un po’ quegli occhi
uomini incauti e sciocchi,
guardate queste femmine,
guardate cosa son.
Queste chiamate dèe
dagli ingannati sensi,
a cui tributa incensi
la debole ragion,
son streghe che incantano
per farci penar,
sirene che cantano
per farci affogar.
Civette che allettano
per trarci le piume,
comete che brillano
per toglierci il lume;
son rose spinose,
son volpi vezzose,
son orse benigne,
colombe maligne,
maestre d’inganni,
amiche d’affanni
che fingono, mentono,
amore non sentono,
non senton pietà.
Il resto no 'l dico,
già ognuno lo sa.

lunedì 20 luglio 2015

Emily Dickinson

CHE IO ABBIA SEMPRE AMATO

Che io abbia sempre amato
ti do come prova
che prima dell’amore
non ho mai vissuto – 

Che amerò sempre
te lo assicuro
perché l’amore è vita
e la vita è immortale – 

Dubita di questo, amore – 
e allora io,
non ho altro da mostrare - 
solo il Calvario – 


Traduzione di Nadia Campana

da Le stanze d’alabastro, Universale Economica Feltrinelli, 1982

venerdì 17 luglio 2015

Osip Mandel’štam

LA CONCHIGLIA

Forse non ti sono necessario,
notte; dall’abisso dell’universo
come una conchiglia senza perle
sono buttato fuori alla tua riva.

Impassibilmente tu schiumi le onde
e scontrosamente canti,
ma tu amerai, tu apprezzerai
la bugia della conchiglia inutile.

Sulla sabbia ti stenderai accanto a lei
le metterai il tuo paramento
tenacemente la congiungerai
all’enorme campana crespa del mare,

e le pareti della fragile conchiglia,
come casa di un cuore inabitato,
ricolmerai con sussurri di schiuma
di bruma, di vento e di pioggia...

(1911)

Traduzione di Gianfranco Lauretano

da La pietra, il Saggiatore – le Silerchie, 2014

mercoledì 15 luglio 2015

Domenico Vuoto

TU NON SEI BÉBERT

Tu non sei Bébert, il gatto di Céline, e io non sono Céline
il tragico-ilare viaggiatore dell’interminabile notte del ‘900 
al suo secondo incendio – il cantore dell’umano tracollo.
Li univa, lui e il gatto, la fuga da un castello all’altro, 
la fine di un tempo depravato. Ora l’Europa non è in fiamme, 
vi regna un’inquieta sazietà, un torpore da fatiche digestive,
un altro mondo preme ai suoi confini – vasto – la Storia,   
sai, non si fa più qui, pulsa dove scorre il sangue, il mai 
dismesso esercizio dell’uomo, e in rapidi falò vite e destini 
brucia. Dove ogni cosa varia, si dissolve, si ricompone 
di volta in volta e ancora si scompone in più indecifrabili forme.
                          
Gatta mia, tu non sarai Bébert e io meno che mai Céline. 
Sono il viaggiatore di un’epoca  indistinta – incontrollata 
disseminazione di eventi – in muta disperazione, privo 
d’orientamento. La tua ritta coda piumosa, per quanto tu
ce la metta tutta,  non è una barra, non indica vie d’uscita
o da intraprendere, mi guida casomai alle tue ciotole 
che io – te lo prometto per l’ennesima volta – m’impegno  
a rifornire sempre di ghiotto cibo – seppure inscatolato. 
  
                       
da Se fosse in te, mia gatta (raccolta inedita)           

lunedì 13 luglio 2015

Stefania Portaccio

LA MATRIGNA DI HANSEL E GRETEL


Non volevo mangiarli. 
Volevo averli – le pagnottelle tenere dei piedi,
le guance setose e il corto naso
premere il viso nelle pance rosa
solleticando, solleticando
e stringere e formare quel viluppo

che viluppo! Di eguali non ce n’è.

Non ero brutta. Mi ha imbruttita
la fame di una vita.

Sposai il vedovo che aveva due bambini
per farne altri che uscissero da me
ma venne la carestia
lui era tutto per loro e tutti e tre
via a ricordare insieme la defunta
mentre io rimestavo nel paiolo
la zuppa unta di niente
un uovo solo, quattro verdi patate 
e centoquattro lacrime salate

Sfinito dal digiuno mi scansava
la notte mi privava del sollievo 
che tutto il giorno pregustavo 

Delirante di fame sognavo 
di polli di conigli e una notte
sognai che mangiavamo i figli

l’unica soluzione era la morte
ma  – la Guyana, Masada
tutto congiura a dire 
che più si è più è facile morire: 

moriamo in quattro insieme 
dissi al mio sposo
hai il sistema nervoso 
che non tiene
rispose stanco
girandosi su un fianco

raccolsi ancora i tuberi le erbe 
le foglie meno dure
ma un mattino 
presi i figli per mano
e li portai a cercare bacche più lontano

li ho perduti­ - dissi
(per non mangiarli lo tenni per me)
una carogna indegna, una vera matrigna
disse lui, e mi cacciò.

Giorni vagai, ero semi svenuta
quando vidi la casa abbandonata
fatta di pane e strutto
dolce e salata, stregata inventata
la mangiai q.b e poi sul letto
mi addormentai

Hansel usò il coltello, 
Gretel lo porse al fratello.
Aprirmi, pancia piena e grembo vuoto
era fatale - un voto
che li teneva forti e uniti

poi mangiarono tutto, tetto
porte pareti
e risero, facendo rutti e peti
e dormirono
poi presero i gioielli dallo scrigno
e la via di casa – passarono uno stagno 
grazie a un’oca benigna

tornarono dal padre fannullone
portandogli buona sorte
e più si disse di me e della mia morte

ma ero io l’oca buona, la matrigna, 
dissanguata, trasformata, morta e resuscitata
che mai voleva mangiarli
e sempre averli 


da Il padre di Cenerentola e altre storie (poesie e racconti inediti)

venerdì 10 luglio 2015

Paul Eluard

TUTTA LA VITA

Dove mi nacquero le forze la memoria
Con tutta sé brilla sull’erba dell’infanzia
Erba deserta erba celeste senza un’orma
Dove i giorni meno i giorni non hanno lasciata notte

1953

Traduzione di Franco Fortini

da Franco Fortini, Tutte le poesie, Mondadori, 2014

mercoledì 8 luglio 2015

Luigi Amendola

L’ACQUEDOTTO FELICE


I

Girano case e alberi 
in questa periferia d’aprile, 
persone e fontane girano 
(giostra per spazi e immagini) 
con la fragranza degli aromi. 
Gli uccelli in volo 
sopra queste nuvole 
gorgheggiano rugiada e anice. 


II

Il passero, il merlo, l’avocetta, 
il trillo riconoscibile nell’aria 
e nelle stanze del platano 
per il piacere mio 
di stupire e svelare (svegliare) 
il bambino assopito 
nell’abitudine formale. 


III

Bambini in rincorsa 
sui cicli abbandonati 
da coetanei scontenti 
pedalano costeggiando le mura. 
A casa, con le grida 
dei vicoli inquieti, 
i resti di giornate luminose. 


IV

Ai panni stesi, alla fontana, 
agli orti allineati lungo la ferrovia 
aggiusta il tiro questo clima. 
La Primavera viaggia 
dalle viscere della terra 
fino all’occhio di Dio 
che da un foro del cielo 
acceca l’acquedotto. 


V

Fascinoso il vento 
che spazza il sentiero 
— polvere e foglie in valzer — 
rincorre cartacce ed echi 
di questo quadro immobile 
che si perde 
sul confine del giorno. 


VI 

La linea bianca di un jet 
è apparsa nel cielo, 
lunga orma, segno di vita 
come la scia delle testuggini, 
sulla sabbia delle Galapagos, 
dalla terraferma all’oceano. 


VII

Il muschio tra le crepe del muro 
insidia l’acquedotto 
cupo sullo sfondo tenue 
di un cielo marzoaprile. 
Ma ride l’acquedotto felice.


Da Acquedotto Felice (raccolta inedita)

lunedì 6 luglio 2015

Francesco Dalessandro

ARDO D’AMORE                                                              


Ardo d’amore. D’ora
in poi non potrò più
esser libero. Servo
per sempre di cattiva 
padrona: mi tormenta
con capricci continui mi brucia
un suo sguardo. Arsa pietra
di monte o scoglio esposto
ai venti all’onda: fossi
questo non soffrirei
tanto. Amaro m’è il giorno
che non la vedo
ma ogni ora della notte
è intrisa d’acre fiele se non posso
stringerla, averla. Un nodo
che non s’allenta: 
ecco l’amore avverso
fato.

Cerco invano coi miei
versi di conquistarla.
Non è questo che vuole né così
potrò averla. Non vuole
elegie ma un compenso
da spendere. Di versi
non sa che farne. Meglio
smettere la Poesia cercare doni
diversi: gemme belle
vesti di seta fina perle. L’oro
apre qualunque porta:
le chiavi non funzionano i custodi
fingono di dormire puoi comprare
perfino il cane.


(Imitazione da Tibullo, Corpus tibullianum, II, 4)

venerdì 3 luglio 2015

Lorenzo da Ponte

da LE NOZZE DI FIGARO

Atto Secondo, Scena Terza
Canzone di Cherubino

Voi che sapete
che cosa è amor,
donne, vedete
s’io l'ho nel cor.

Quello ch’io provo
vi ridirò;
è per me nuovo,
capir no ’l so.

Sento un affetto
pien di desir
ch’ora è diletto,
ch’ora è martir.

Gelo, e poi sento
l’alma avvampar,
e in un momento
torno a gelar.

Ricerco un bene
fuori di me,
non so chi ’l tiene,
non so cos’è.

Sospiro e gemo
senza voler,
palpito e tremo
senza saper,

non trovo pace
notte né dì:
ma pur mi piace
languir così.

Voi che sapete
che cosa è amor,
donne, vedete
s’io l’ho nel cor.

mercoledì 1 luglio 2015

Folgóre da San Gimignano

DI LUGLIO

Di luglio in Siena, in sulla Saliciata,
con le piene inguistare de’ trebbiani;
nelle cantine li ghiacci vaiani,
e man e sera mangiare in brigata

di quella gelatina ismisurata
istarne arrosto e giovani fagiani,
lessi capponi e capretti sovrani,
e, cui piacesse, la manza e l’agliata.

Ed ivi trar buon tempo e buona vita,
e non uscir di fuor per questo caldo;
vestir zendadi di bella partita;

e, quando godi, star pur fermo e saldo,
e sempre aver la tavola fornita,
e non voler la moglie per castaldo.


Da Sonetti dei mesi, a cura di Valerio Bartoloni, con incisioni di Romano Masoni, Comune di San Gimignano, 2007