venerdì 22 maggio 2015

Onofrio Lopez


L’ERBA DEL FORTE


                            I 

L’erba è rasata ad arte nell’angolo 
più alto del Forte, riserva comoda
di reminiscenze sotto un cielo qualsiasi:
i toni, i volti, i gesti nello scambio 
delle parti, tra le pietre inamovibili 
che coprono tutti i versanti. Fuori dai varchi
il rumorìo indifferenziato che sale.

                            II 

Nell’opera fatta per altri assedi, le feritoie 
si prestano, inattuali, a scorci elusivi;
pullulano parole d’ordine senza eco;
in tempo reale si archiviano – anonime – 
impressioni diffuse come immortali; 
si catturano, percorrendo camminamenti 
obbligati, prospettive già fissate da altri. 

                             III

L’inquietudine è l’unica sentinella
ammessa a vigilare sull’esattezza 
della data del sopralluogo; perché,  
segnata la scadenza, non rimanga vaga 
la traccia del mio transito, nel frastuono
di armi immaginarie, d’insegne ibride,
di drappelli di figuranti improvvisati.

                             IV

Supino, immagino foto per album 
in dissolvenza, depurati dai residui d’apologia 
di qualche rimpianto. L’esercizio non ha 
testimoni; per la mia rubrica solo un appunto: 
Quando trovarsi sull’erba diventava
 preludio di amori non ci mancava nemmeno
l’euforia inappagata di Majakovskij”.
                             
                              V

Giù – se è l’ora – seguo gli alberi di gelso 
lungo le mura salvate, fino al limite urbano dove
non è applicabile il programma di calcolo
delle occasioni perdute, accumulate 
nel tempo. Tutto è sradicato, contemporaneo:
la casualità forma l’opinione; le voci e le figure 
di una rassegna passeranno come merce scaduta.


Marzo 2015

(inedita)

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