mercoledì 23 aprile 2014

Geoffrey Hill

IL CANZONIERE DI SEBASTIAN ARRURRUZ (II)
               Sebastian Arrurruz: 1868-1922



4

Una fantasia praticabile. Il vecchio petulante
Dolore ci torna metamorfosato
E semiprezioso. Ambra fortuita.
Come questo compensasse la nostra privazione.
Guarda come ogni frammento prende fuoco,
rigirato, alla fine, nella luce della valutazione.


5

L’amore, oh amore, verrà
Di sicuro. Un temporale cova
Tutto il giorno la terra arida.
Le persiane di notte pulsano nel rovescio.

La metafora tiene: è una casa accogliente.
Tu sei fuori, perduta in qualche posto. Io mi trovo
A divorare versi di più strana passione
Ed esilio. Le parole esatte

Alimentano la mia vuota fame di te.


POSE

Immagino, ogni volta che m’immagino
Noi due più stilizzati e più amorevolmente
Definiti, di non essere me stesso
Ma l’altro che sarei potuto essere: asessuato,
Permissivo sull’arte, capace diciamo
Di gustare le pose ben studiate
Di Sant’Antonio o San Girolamo,
Quei pacifici sogni ermafroditi
Tramite i quali l’eccesso di memoria
Persegue la propria astinenza.


DAL LATINO

Ci sarebbero state cose da dire, quiete                
Che poteva nutrirsi della nostra lussuria,
Banalità rinfrescate, i fatti d’ogni giorno:
E di notte la mia lingua nel tuo solco.

Senza te sono deriso da cortesie
E ciarle, dove donne soddisfatte spingono
Per dovere verso un ospite inutile
Desiderabili tratti di conversazione.


(1922)


(segue)

Traduzione di Francesco Dalessandro


Da Collected Poems, Oxford University Press New York, 1986

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