venerdì 28 febbraio 2014

Silvia Bre

OGNUNO VUOLE AVERE IL SUO DOLORE

Ognuno vuole avere il suo dolore
e dargli un corpo, una sembianza, un letto,
e maledirlo nel buio delle notti,
portarlo su di sé tenacemente
perché si veda come una bandiera,
come la spada che regala forze.
Ma c’è persa nell’aria della vita
un’altra fede, un dovere diverso
che non sopporta d’esser nominato
e tocca solamente a chi lo prova.
È questo. È rimanere
qui a sentire come adesso
l’onda che sale nelle nostre menti
le stringe insieme in un respiro solo
come fosse per sempre,
e le abbandona.
Ma nemmeno la pupilla d’un cieco
dimentica l’azzurro che non vede.

Da Marmo, Einaudi 2007

mercoledì 26 febbraio 2014

Emily Dickinson

Marzo ci piace

Marzo ci piace.
Le sue scarpe sono viola – 
è nuovo e fiero – 
forma fango per cane e ambulante,
fa asciugare le foreste.
Sente il suo arrivo la lingua della vipera
e presenta la sua goccia.
Sta il sole così vicino e potente
che le nostre menti bruciano.

È annuncio lui di tutti gli altri – 
Sconsiderato sarebbe morire
con gli uccelli blu che si allenano
sul suo cielo britannico.

Traduzione di Silvia Bre

da Uno zero più ampio, Einaudi, 2013

lunedì 24 febbraio 2014

Alessio Brandolini

ALLORA IL SOLE S’ESPANDE E POI SCENDE

                                                 a Laura

Allora il sole s’espande e poi scende
s'occulta nel cespuglio della notte
le spade rosse vibrano sull’acqua
poi veloce si sposta, entra nel sangue.

Tu dormi e dormono anche i figli
certo c’è chi protegge il vostro sonno.
Vi osservo con stupore tutto preso
da un’agilità che non rischia il salto.

Notti vessate dal vento che sbatte
sui muri dei palazzi e porta il ritmo
dei pensieri sonori, gli angeli forti
che ripuliscono il paesaggio
della campagna romana vista da Goethe,
estendono la macchia selvatica del Lazio.

Da Il fiume nel mare, LietoColle, 2010

venerdì 21 febbraio 2014

Gabriella Sica

POESIE FIGLIE

Ricomincio figlie mie con voi,
idee concepite e incarnate
eccovi con me dopo il travaglio
elettre fragili e antigoni gentili.

Vi aspetto con gran diletto figlie,
ragazze all’opera serie e sincere
con i fiori in testa e la vita sottile
con le agili caviglie delle dee.

(Dal grembo caldo della madre terra
dalla sotterranea caverna sonante
del mistero una fulguratura balza

al cielo azzurro che l’accoglie,
un’alba che rapida sveglia il giorno
un tramonto che porta il riposo).

È sprone e soffio di fiammella
è il pensiero della mente madre
dopo nove mesi o anche nove anni

è la creazione è il mondo-doglia
mie uniche figlie femmine, poesie
madri di ben altre poesie umane.

17 gennaio 2006

da Le lacrime delle cose, Moretti & Vitali, 2009

mercoledì 19 febbraio 2014

Fabio Ciriachi

CARTOLINA DA VARIGOTTI

                                per Silvia Lagorio

Vede ancora la piazza con le palme
e quella casa dove tutto sembra
diverso e sempre uguale come i muri
scrostati dagli sguardi dei bambini.

Fu lì che imparò la proporzione
distesa sotto il corpo dell’estate
la forza prodigiosa della madre
nell’alternare in cielo luna e sole.

Aprendola alla vita tutti gli anni
seppe tornarci e farne tradizione
da curare coi passi con gli sguardi
che salvano da ladri e da architetti.

Da Pastorizia, Empiria, 2011

lunedì 17 febbraio 2014

Dina Basso

AJU DITTU SEMPRI

Aju dittu sempri
ca cani nun ni vogghiu,
picchì poi attocca
nun sulu darici a mangiari
ma suprattuttu nesciri
co' caudu o cà nivi
ppi purtalli a sfantasiari:
ma uora
macari senza cani m’arritrovu
di notti
e di capumatina,
a purtari ’ntè strati u desidderiu
di vidiriti,
a fallu nesciri
ca dintra a casa ’mpazziscia,
e u fazzu pisciari
a ogni cantunera,
spirannu ca poi, tu
passannu di ddà,
u senti u fetu di mia
e continui sciarannu l’aria
a ma stissa
prucissioni.


Ho detto sempre / che cani non ne voglio, / perché poi tocca / non solo dargli da mangiare / ma soprattutto uscire / col caldo o con la neve / per portarli a svagare: / ma ora / pure senza cani mi ritrovo / di notte / e di mattina presto, / a portare nelle strade il desiderio / di vederti, / a farlo uscire / che dentro casa impazzisce, / e lo faccio pisciare / ad ogni angolo, / sperando che poi, tu / passando di lì, / la senti la puzza di me / e continui annusando l’aria / la mia stessa / processione. 

Da La generazione entrante, poeti nati negli anni Ottanta, a cura di Matteo Fantuzzi, Giuliano Ladolfi Editore, 2011

venerdì 14 febbraio 2014

Kenneth Rexroth

ANCORA L’IPOTESI DI LYELL                                                                                                                                                                                                         

                                              Tentativo d’illustrare gli antichi
                                              mutamenti della superficie terrestre
                                              con le cause ora in atto.
                                              Sottotitolo dei Principi di Geologia di Lyell


Qui la strada del monte finisce,
interrotta dal baratro dove il ponte 
fu spazzato via dall’acqua, anni fa.
La porpora della prima speronella 
brilla al primo sprazzo di sole 
del mattino d’aprile. Il torrente  
romba e fischia nella gola come 
una palla di cannone. Vicino 
alla cascata, la vita insormontabile 
affluita qui con l’equinozio, 
sensibile e sensuale, precipita fino 
al mare e alla morte. La trama                                          
di comprensione e angoscia                                                      
che stringe la carne in una camicia 
di Nesso; la tela rappresa dell’io                            
e del non io; muta e macchia                                           
il letto del sole con strali di fiori
come sangue sferzante l’acqua 
che ribolle nell’aria vibrante. 
Quest’ego, soggiogato dal dramma 
personale e dall’anonimo
smisurato spirito di vendetta
del mondo crollato e in rovina,
indugia in quest’immortalità
insensibile e ardente come il flusso                           
lavico che un tempo bruciava 
qui, e fermandosi disse: «Fin qui,
ma non oltre». E da allora parlò 
nel semplice linguaggio della pietra.
             


Siamo distesi nudi nella calda 
aria d’aprile sotto le sequoie 
rosse, sul dirupo assolato.
Quando ti pieghi su di me, 
sui tuoi fianchi vedo piccoli 
segni rossi come morsi, 
dove le pigne delle sequoie 
hanno segnato la tua carne. 
Sono gli stessi segni che si trovano  
sulla lignite del dirupo sopra 
di noi. Sequoia Langsdorfii 
prima del ghiaccio, e dopo 
sempervirens. Minima differenza
se non fosse per tutti quegli anni.

Qui, nel mortifero e dolciastro
fetore dei fiori di primavera, 
relitti galleggianti insieme,
lavati, freddi e nudi, sotto
quest’albero per un istante 
noi siamo sfuggiti all’amarezza                                   
d’amore, dell’amore perduto 
e dell’amore tradito. Ciò che potrebbe 
essere stato e ciò che potrà essere 
svaniscono insieme a ciò che è, 
lasciando solo questi ideogrammi 
impressi sugli idrocarburi 
eterni della carne e della pietra.
  

Traduzione di Francesco Dalessandro

Da The complete poems of Kenneth Rexroth, edited by Sam Hamill & Bradford Morrow, Copper Canyon Press, 2003 


mercoledì 12 febbraio 2014

Isaac Rosenberg

POLVERE CHIAMA POLVERE

Un granello sussurrò – un grigio granello di polvere,
vorticando intorno ai miei ginocchi, nelle braccia del vento:
“Vento, dolce vento, sollevami, sollevami più in alto,
per vedere attraverso i suoi occhi nella vastità della mente”.

Poi subito l’udii mormorare: “Fratello, caro fratello,
quanto ancora vigilerai su quel fiero tempio di Dio?
Così fisso alla terra e nemico del vento –
oh affrettati e bacia con me la nuvola e la zolla”.               

1912

Traduzione di Francesco Dalessandro

Da The collected works of Isaac Rosenberg, Chatto and Windus, 1979

lunedì 10 febbraio 2014

Emily Dickinson

Silenzio è tutto quanto temiamo

Silenzio è tutto quanto temiamo.
C’è riscatto in una voce – 
Ma silenzio è infinità.
Di per sé non ha un volto.

Traduzione di Silvia Bre

da Uno zero più ampio, Einaudi, 2013

venerdì 7 febbraio 2014

Gerard Manley Hopkins


SCANDITO DALLE FOGLIE DELLA SIBILLA

Ardente, ultraterrena, serena, armoniosa, 
/ a volta, voluminosa, … stupefacente,
la sera si sforza d’essere la vastità del tempo, 
/ d’ogni cosa grembo riparo bara, notte.
La sua tenera dorata fioca luce all’occaso, 
/ la sua cruda vacua luce canuta sospesa
si guasta; i primissimi astri, astri principi, 
/ astri principali, ci sovrastano,
mostrando un cielo di fuoco. La terra 
/ si spoglia di sé stessa, smuoiono i variegati
colori, sciamanti, smarriti, tutti intricati, 
/ a frotte; in sé immersa, stremata - già tutto
smemorando, smembrando, ora. Cuore, 
/ tu giustamente mi ammonisci: la sera
nostra è su di noi; la nostra notte c’inghiotte, 
/ c’inghiotte e per noi sarà la fine. Solo
rami di aguzze foglie, dragoneschi, arrossano 
/ la livida luce levigata; neri, sempre più neri 
in essa. Il responso, oh il nostro presagio! Lascia 
/ vita, svilita, ah lascia che la vita dipani
la sua varietà, poco fa avviluppata screziata venata, 
/ in due spole; spartisci, restringi, racchiudi
tutto in due greggi, due greppie – bianco nero, 
/ vero falso; considera, cura, accudisci questi due; 
consapevole d’un mondo dove soli, l’uno contro 
/ l’altro, hanno importanza; d’una ruota dove, 
senza riparo né ricovero, da sé attorti e torturati, 
/ pensieri contro pensieri stridono, gemendo.

(1884?)

Traduzione di Francesco Dalessandro

da The Poems of Gerard Manley Hopkins, Oxford University Press, 1970



mercoledì 5 febbraio 2014

Fabio Pusterla

LETTERA DA TINIZONG


Niente d’eroico in questo esilio
casuale. Il marinaio ricorda
lo stacco della nave dal Pontile,
le musiche d’addio, gli ultimi spari
del cannone di terra? Io no,
io non so dove, quando la partenza
(se partenza c’è stata); da qualche parte
s’intuisce ci dev’essere un errore
– mio o d’altri non importa – un’imprevista
smagliatura, un sasso fuori posto.
Né basta dire che adesso (quando?) qui (dove?)
si aprono inconsuete visuali, angoli acuti – 
di realtà (e intanto sfugge il resto del cerchio).
La disfunzione è altra, è nei vapori
che velano le cose, confondono le case
le chiese le chiuse; e chi sa più se l’inaudito
tumefarsi dei volti, e l’appiattirsi
e l’inarcarsi dei monti, e il beccheggiare
dei ponti siano segnali veri, tracce forse
di un mondo altro, sottostante,
che irrompe a tratti violento,
o fantasmi neppure ipotizzabili?
L’esilio comunque è in questo non essere
intero mai, non esistente del tutto
nell’istante, e sempre distante
dal vero.

Da Concessione all’inverno, Casagrande, 2012

lunedì 3 febbraio 2014

Isabella Vincentini

QUESTA MATTINA

Questa mattina ho steso
di nuovo al sole le lenzuola,
vele immobili alle finestre,
bianchissime,

il vento si è placato in un deliquio;
oggi non è più sconfitta
ma infinita violenza e dolcezza
la febbre della sera.

Da Le ore e i giorni, La vita felice, 2008