venerdì 29 novembre 2013

Kenneth Rexroth

TRE POESIE PER ANDRÉE REXROTH

Morta a ottobre del 1940

I

Ancora una volta dai rami screziati di grigio 
dei castagni esplodono stelle di smeraldo
gli ontani si consumano nel fumo rosa
d’innumerevoli germogli.
Lo so, primavera è splendida 
come sempre, i tordi nascosti
ciarlano dolcemente, il sole è vita – 
su queste piste nella foresta camminammo insieme, 
su questi sentieri, per dieci anni insieme. 
Pensavamo che quegli anni durassero per sempre, 
ma sono spariti, mentre i giorni
che per noi non dovevano arrivare sono qui.
Una lucida trota si bilancia nella corrente –      
un’impronta di procione sul bordo dell’acqua – 
più distante, il trambusto di un tarabuso –              
le tue ceneri sparse su in montagna – 
sulla corrente vanno verso il mare.                     



II                 

Viola e verdi, blu e bianche,
le bocche dell’Oregon
scivolano nel buio denso e fumoso 
mentre la coppa rotante del giorno  
sfugge al vortice dell’emisfero.
E la lunga spiaggia bianca
brilla tutta nel crepuscolo pallido 
mentre s’accendono luci 
nei villaggi solitari; voci umane 
ne nascono; e il latrato dei cani, 
appena cessa il vento.
Quelle sere d’agosto stanotte
sono vecchie di sedici anni e anch’io 
di sedici anni più vecchio – 
solo, sorpreso a metà della vita,
nel caos del mondo; e gli anni 
della nostra giovinezza sono tutti
scomparsi, e ogni atomo
della tua carne sapiente e confusa 
è completamente consumato.


III

   Monte Tamalpais

Sono passati anni. E di nuovo
è primavera. Marte e Saturno
al crepuscolo, presto saranno 
qui, bassi a occidente. La luce 
del tramonto crea travi confuse                                               
sulle cascate di Steep Ravine.
Gli uccelli che d’inverno 
vengono dall’Oregon, tordi
vari e pettirossi fanno festa 
con bacche mature di corbezzolo
e agrifoglio. I pettirossi cantano 
nella luce che s’addensa.
                                       Le tue ceneri
furono sparse in questo luogo. Qui 
ti scrissi una poesia d’addio,
e molto tempo prima un’altra 
di pace e d’amore, sulla stanchezza 
di una lunga sera primaverile 
in gioventù. Sono ormai
quasi dieci anni da quando venisti 
qui per restarci. Ancora una volta
i salici grigi che in questa terra 
stravagante arrivano con l’anno 
nuovo sono in fiore. Ci sono 
cervi e tracce di procione 
nei medesimi luoghi. Certi nuovi 
banchi di sabbia e letti di ciottoli 
sono rimasti dove l’erosione
ha rosicchiato in profondità le colline.
I percorsi della vita sono stretti.                                  
Guerra e pace, passate come fantasmi.
La razza umana sprofonda
nell’oblio. Un tarabuso
chiama dagli stessi giunchi dove
ne udisti uno in quel nostro 
primo anno nel West, e dove io
ne ascoltai un altro nell’anno
della tua morte.


   Kings River Canyon

Il mio dolore è così grande
che non riesco a vederci dentro;
così profondo che mai
potrò toccarne il fondo. 
La luna sprofonda tra la foschia,
come se il canyon del Kings River
fosse pieno di buona umida ovatta 
calda. Saturno brilla tra la densa 
luce come un umido occhio d’oro; 
là vicino, Antares s’illumina 
debolmente, senza brillare. 
In alto, lontana, un’oscura 
pietra luccica al chiaro di luna – 
il belvedere da dove scrutammo 
nel canyon e poi ci stendemmo 
sotto un’altra luna piena. 
Qui, vicino allo stagno 
autunnale, ci accampammo  
per tutto un caldo ottobre. 
Qui ti feci una torta di compleanno. 
E qui tu dipingesti le tele migliori – 
ingenui, misteriosi paesaggi.
Ne sono rimasti pochissimi. 
Li distruggesti nell’ansia terribile 
della lunga malattia. Sono passati
diciott’anni da quell’autunno. 
Qui, allora, non c’erano piste. 
Solo poche persone sapevano 
come entrare in questo canyon. 
C’eravamo solo noi, venti miglia 
lontani da chiunque; 
un giovane marito e sua moglie,
circondati e protetti 
da un autunno tranquillo,
un rumore d’acque tranquille,
nel vorticare delle foglie cadenti,
in un tremolio d’innumerevoli 
pipistrelli che dalle grotte 
volteggiavano sugli stagni odorosi 
dove la grande trota sonnecchiava nella sera.

Diciott’anni fatti a pezzi 
dalle ruote della vita. 
Tu sei morta. Migliaia di detenuti 
hanno aperto con la dinamite
un’autostrada attraverso 
l’Horseshoe Bend. La gioventù, 
che venne solo quella volta, 
è passata. Ingrigiscono i capelli, 
il corpo s’appesantisce. Anch’io 
vado incontro alla morte. 
Penso a Exequy, ricercata ma 
desolata poesia di Henry King, 
alla grande poesia di Yuan Chen, 
insopportabilmente triste. 
Solo, vicino allo Spring River,
più solo di quanto avrei mai
immaginato, penso a Frieda 
Lawrence, seduta da sola 
nel Nuovo Messico, durante 
la lunga siccità, in ascolto 
del fischio del latteo Isar,
sui ciottoli, in una perduta primavera.

Traduzione di Francesco Dalessandro

Da The complete poems of Kenneth Rexroth, edited by Sam Hamill & Bradford Morrow, Copper Canyon Press, 2003 

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