venerdì 2 dicembre 2011

Vittorio Bodini


STUDIO PER LA SANFELICE IN CARCERE

Al tempo dei Borboni
le donne erano matassine di seta,
non parliamo dei cuori di cicoria,
o dei densi gioielli dei colombi
che andavano e venivano
come schiaffi nell’aria intorno alle chiese.

Ma alle grate di ferro che danno
sui cortili umidi
i fanciulli annusavano verde e silenzio.
Che punto di partenza pei loro sogni!
Grattavano il verde cogli occhi,
il silenzio con le mani.

Limoni d’oro a volte erano stelle
a quei cieli reclusi da una porta
tarlata, oltre la quale
passava il venditore d’aghi e gridava,
gridava il venditore di semi di zucca,
la tromba del lattaio,
quella del venditore di petrolio
con il ciuco ammaestrato.
E questo era il tempo: vite umane
scandivano la misura d’altre vite,
ma pei fanciulli dagli occhi
persi nel prigioniero verde, che di rado
stormiva,
ognuno di quei gridi, ogni suono
erano distaccati dalla trama del giorno,
unici, irragionevoli.

Non per lei, no: non per la Sanfelice
in carcere;
lei di tutto faceva, d’ogni voce
d’ogni pensiero un filo
quieto ed attento al suo dolce ricamo.
Troverà nel silenzio una custodia
quel suo umano sognare?
La troverà nella calce bianca e azzurra,
e il legno della porta sarà più legno:
tutto sarà più se stesso
se lei continua quieta a ricamare.




Da Tutte le poesie, Besa, 2010


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