mercoledì 28 dicembre 2011

Gianfranco Palmery


MANIERA


I.

Se nomino i tuoi occhi, questi
perdutamente scaduti oggetti
di poesia, gemine gemme che gli austeri
poeti antichi incastonavano nei loro versi:
non è per accendere i miei di freddi
fuochi, farli rilucere col facile effetto
del colore evocato, l’azzurro, è il tuo
caso, però cangiante che trascolora
nel verde e nel grigio del più volubile
berillo; ma perché dei miei versi
il fuoco accerchi quei gelidi gemelli,
le loro luci elusive accalori,
e si rovesci il tempo: i bei cristalli
addormentati si riaprano fiori.


II.

Quante volte li ho pensati occhi
di Minerva, cerule luci
minerali che nessun fuoco altera
nella loro altèra chiaria: intenta
alla lettura o nella turrita
tua tristezza di reclusa, se gelidi
lampi raggiano quegli astrali
globi o si accendono dei fatui
fuochi danzatori dei sorrisi: Atena
senza attrezzi di guerra, persa
nei tuoi aerei pensieri – tu sei
il mio vivo palladio e fuoco e lume
dei miei versi è il raggio di questi
calunniati oggetti celesti.

da L’opera della vita, Edizioni della Cometa, 1986