mercoledì 4 maggio 2011

José María Alvarez

SEPOLCRO CLASSICO

Fu nella primavera
del 1485. Alcuni operai scavavano
sull’Appia. Immaginate
la lentezza del mattino, certi canti.

All’improvviso, voci. I picconi
hanno colpito – scintille
del marmo – una
lapide.
Mani callose scansano
la terra. E appare
un sepolcro e una
iscrizione: “Giulia” – “Figlia di
Claudio”.
                  Quando alzano la lapide
un profumo soave – dice il
libro – dolciastro, come di fiori,
impregna l’aria. Lì c’è, addormentata,
una giovane di delicata bellezza.
Non avrà più di 15 anni, capelli di seta
le coprono le spalle, e socchiusa
(come per dare un bacio) la bocca, e le guance colorite.

Si fermarono sbalordite
quelle brave persone. E nel silenzio più profondo
contemplarono rispettose
quell’immagine che rivelava
ciò che un tempo era Roma,
ciò che una volta essi erano stati
come romani.

E davanti alla fanciulla s’inginocchiarono
come avevano imparato dalla Chiesa
a prostrarsi davanti alla Vergine.

Poi, portarono il sarcofago
in Campidoglio. E presto Roma fu meta
di pellegrini, moltitudini
d’ogni lingua e regione, che venivano
a contemplare la dormiente.

E anche nella grandezza imperitura
di quella Roma già cristiana
regnava Innocenzo VIII –
la bellezza pagana
e classica trionfò.

Traduzione di Francesco Dalessandro
José María Alvarez, El escudo de Aquiles, Ediciones del Dragón, 1987






1 commento:

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